29 marzo 2020

Waxahatchee - Saint Cloud ALBUM

Otto anni fa Katie Crutchflield scelse di chiamare il suo progetto solista Waxahatchee in onore di un torrente prossimo alla sua hometown Birmingham, in Alabama. Le sue radici sudiste sono sempre state presenti come una solida matrice folk sotto la ruggine elettrica delle sue canzoni: lo erano ai tempi di American Weekend, nel songwriting inquieto e ipsiratissimo del suo capolavoro Ivy Tripp, nel pop muscolare delle sue ultime produzioni. 
Arrivata al sesto album, Katie ha confessato di avere scritto e registrato le sue prime canzoni "da sobria", quasi incerta di quello che sarebbe stato il risultato in una fase di ripensamento della sua vita.
Saint Cloud fotografa Waxahatchee in una sorta di quiete dopo la tempesta, in cui Katie riprende in mano il suo fluente e talentuoso songwriting e lo scioglie da ogni vincolo indie, immergendolo senza filtri in una dimensione totalmente e semplicemente folk rock. 
Le canzoni, come sempre, ci sono e sono a tratti strappacuore, nelle liriche di sincero autobiografismo e nella progressione melodica di nuda purezza. La voce e la chitarra acustica, usate con la grazia un po' scontrosa che conosciamo, fanno il novanta per cento de lavoro. Ogni altro apporto strumentale (una elettrica a punteggiare, un organo, una seziomne ritmica discreta e quadrata) è a servizio delle canzoni e scivola sui binari con concreta lucidità.
Non è più la Waxahatchee dolcemente ruvida che tutti hanno celebrato un lustro fa? Sì e no, in verità. Lo è in un modo diverso e in evoluzione, ma conservando quel fuoco creativo che Katie da sempre riesce ad alimentare e dominare.


24 marzo 2020

Go Get Mum - Ok Now What EP

C'è un qualcosa di comune in tutte le band australiane che amo un po' da sempre, dai Go-Betweens e dai Lucksmiths in giù fino a quelle di oggi. Una sorta di seria leggerezza, di sorridente understatement che faccio fatica a definire bene ma indubbiamente c'è e dà i suoi frutti in decine di gruppi.
Tra questi la mia ultima passione sono i Go Get Mum, basati a Melbourne, che si autodefiniscono un quartetto che fa canzoni d'amore, sbronze e amicizia. Ok Now What, il loro secondo EP, di canzoni ne contiene sei che sono a dir poco entusiasmanti: sei racconti di vita che ruotano attorno alle voci magnificamente intersecate di Izzy Tolhurst e Garry Westmore e a chitarre scampanellanti e luminose. A tratti sembra quasi di risentire la narrativa uptempo degli Heavenly, con quel misto di sgangherato artigianato melodico e di pura gioia di suonare. 
Da non perdere!

16 marzo 2020

First Responder - Courage ALBUM

Basati a Columbus, Ohio, i First Responder potrebbero essere la classica band guitar pop che finisce per essere confusa fra tanti altri gruppi simili. 
Ciò che invece li rende unici e davvero molto interessanti è senz'altro la voce dalla tonalità particolare di Sierra Mollenkopf, che poi è la vera titolare del marchio First Responder. 
In Courage, che è il secondo album della band, ci sono dieci pezzi di delicata bellezza, dove la vocalità da soprano di Sierra (un po' mi ricorda le Lush) è circondata con equilibrio da chiarre jangly e gentilmente sfrigolanti. Tra tutti gli episodi spicca il singolo Family Plot, che è un vero gioiellino e rappresenta bene le due anime convergenti - quella più algida e quella più ruvida - dei First Responder, con un chorus potentemente memorabile. 



10 marzo 2020

Jeanines / The Francine Odysseys / Seablite

Questa volta mettiamo insieme tre EP appena usciti, tutti meritevoli di attenzione.

Cominciamo con i Jeanines, che con Things Change danno seguito all'incantevole album uscito nemmeno un anno fa. Alicia e Jed sono maestri nel confezionare canzoni di minuta artigianale perfezione e i quattro episodi dell'EP sono davvero dei deliziosi mignon che sembrano usciti da una magica scatola del tempo sotterrata a fine anni '80: melodie veloci, catchy e zuccherose il giusto, chitarre scampanellanti e un'irresistibile aura di modernariato. 



Fra i tre EP che segnalo oggi, il mio preferito è senza dubbio What If We Were Wrong, esordio di The Francine Odysseys. La band, sorta a Los Angeles attorno ad una veterana della scena indie pop come Gretchen DeVault, ha confezionato quattro pezzi di affascinante raffinatezza, tracciando uno stile che sta esattamente a metà fra il jangle pop classico e un dream pop dai contorni più ampi ed ambiziosi, con in più un delicato retroterra folk (Silver Lake) ed una straordinaria immediatezza. 



Non hanno bisogno di presentazione i californiani Seablite, che l'anno passato abbiamo adeguatamente celebrato fra i dischi migliori del 2019. High-Rise Mannequins, il nuovo EP, ritorna ai fasti di un noise pop a trazione femminile pieno di chitarre che friggono e melodie di sfrontata ed obliqua dolcezza. 




05 marzo 2020

Soccer Mommy - Color Theory ALBUM

Ci sono molti ottimi motivi per cui Sophie Allison dovrebbe essere considerata nel novero delle musiciste indie più importanti d'America. Non lo è (ancora), e forse il fatto di aver esordito un paio d'anni fa nel momento di gloria di Waxahatchee, Mitski e altri grossi calibri femminili l'ha un po' messa in una zona d'ombra. Clean, il suo album d'esordio, era di sicuro brillante, specie considerando che era il primo lavoro di una ragazza ventenne, ma nel suo complesso mancava forse quella scintilla capace di accendere un incendio. 
Color Theory, il secondo album che segue ad un infinito tour che, per ammissione della stessa Sophie, è la sua unica forma di sostentamento, di scintille ne ha almeno dieci, tante quanti i pezzi che contiene.
Intendiamoci, non è intervenuta alcuna rivoluzione nella scrittura intensa ed essenziale di Soccer Mommy, tuttavia Sophie è riuscita non soltanto a mettere insieme rabbia, introspezione e dolcezza come solo lei sa fare (pochi sanno parlare così tanto di depressione senza suonare depressi), ma anche a rivestire ogni canzone di un'aura magnetica ed avvolgente persino difficile da descrivere. 
I pezzi di Soccer Mommy sono quasi tutti dei pugni nello stomaco, a leggerne le liriche, ma arrivano in realtà come carezze - i ritmi egualmente midtempo, l'uso quasi atmosferico e luminescente di chitarre e synth, la voce emozionata e misuratissima al contempo, le melodie di rotonda semplicità, la dimensione distesa, l'onnipresente leggerezza del tocco in una produzione in stato di grazia - che finiscono per diventare uno straniante genere di conforto. 
Su tutti spiccano, a mio personale parere, i sette sorprendenti minuti di Yellow Is The Color Of Her Eyes, che riassumono bene l'umore musicale dell'album, sospesi come sono in un morbido flusso di coscienza dai contorni indubitabilmente pop. Ma il fuoco dell'ispirazione brucia e illumina in ognuno degli episodi di Color Theory.