30 ottobre 2025

Pàlida Tez - Un Extraño Estado De Ànimo ALBUM REVIEW


Mancava da qualche tempo un grande album uscito dalla sempre fervida scena indie pop spagnola. Ed eccolo qui: è il disco di debutto - davvero attesissimo - dei Pàlida Tez di Albacete, una band che da queste parti seguiamo da molto tempo e che lodiamo ogni qualvolta pubblica un nuovo singolo. 

Maria Virosta, Samuel Cuevas, Manuel Castano ed Elena Perales hanno cominciato a suonare insieme da circa cinque anni e, come altri gruppi spagnoli (la traiettoria può andare dai Juniper Moon agli Apartamentos Acapulco e ai Linda Guilala) hanno imboccato una strada che attraversa in modo efficace e creativo sia l'esperienza shoegaze che il dream pop e l'indie dei Novanta. 

Fin dalle prime note di Dibujo Animado, primo episodio del lotto, è evidente che i Pàlida Tez amano i muri sonici di chitarre, le melodie limpide sorrette dai synth e dalla sovrapposizione della voce femminile e maschile e le ritmiche torrenziali. Una dimensione che potrebbe venire tranquillamente dall'insegnamento dei Lush.

Nella seguente Wong Kar-Wai, più squadrata ma anche più catchy, lo stile invece è davvero quello dei primi Pains Of Being Pure At Heart, con in più una capacità narrativa ironica e leggera che riflette una forte personalità e che ritroveremo ovunque nel disco. 

L'atmosfera più obliqua e notturna di Magia Negra apparentemente apre un'atmosfera più tesa, ma in realtà le chitarre si arrampicano su un crescendo di sicuro effetto che ricorda le cose più elettriche dei Say Sue Me.

Ser Adulta Es Un Disfraz parla proprio un'altra lingua: è un pezzo pop che ha una dimensione assolutamente cantautorale e una confezione di grande eleganza intorno ad uno scheletro acustico. 

Se Varoufakis (titolo bizzarro che le liriche non spiegano particolarmente) si impenna su spigoli distorti,  la bellissima Ultimo Partido riporta tutto in un paesaggio più morbido che conduce ad un finale spettacolare e suggestivo. 

A seguire l'ndie pop di marca Sarah Records nella avvolgente Lo Que Hay, prima di quello che è veramente un piccolo anthem ibrido di power pop e shoegaze, Mejor Al Revès, che ricorda molto da vicino i nostri amati Apartamentos Acapulco. 

In chiusura un piccolo gioiellino fragile come La Dispersiòn, affidato alla voce di Samuel Cuevas, che è anche un bell'inno al desiderio di fuga. 

In definitiva Un Extraño Estado De Ànimo è un album allo stesso tempo di grande compattezza stilistica ma anche ricco di di sfumature diverse, che tracciano alla perfezione la notevole maturità della band spagnola. 

26 ottobre 2025

The Telephone Numbers - Scarecrow II ALBUM REVIEW

In un piccolo mondo musicale come la scena indie pop di San Francisco è probabile che ci si conosca più o meno tutti, e non è un caso allora se i membri dei Telephone Numbers li ritrovi a suonare anche in altre band della baia che da queste parti amiamo incondizionatamente, dai The Reds Pinks & Purples ai Chime School, dai Seablite ai The Umbrellas. 

E' evidente che c'è un terreno comune in cui fioriscono tutti questi artisti - un terreno che ha radici negli anni '60 delle dodici corde e della psichedelia - ma poi ogni gruppo ha una sua particolare attitudine che lo rende particolare e riconoscibile.

Per quanto riguarda The Telephone Numbers, il tratto distintivo è senz'altro il songwriting colorato, leggero e intelligente di Thomas Rubenstein, che in passato ha guidato i Love Birds, ha lavorato spesso e volentieri con Glenn Donaldson e ha pubblicato l'album di debutto dei TN nel 2021. 

Scarecrow II è quindi il secondo disco del quartetto californiano e conferma alla grande il tocco pop di Rubenstein e compagni. Le chitarre jangly ovviamente non mancano, ma i Telephone Numbers allargano volentieri i loro orizzonti ad una dimensione cantautorale che utilizza spesso e volentieri violino, tromba e organo e ama alternare tempi più mossi (Goodbye Rock n Roll, Ebb Tide...) e momenti di serena introspezione acustica di matrice folk (Falling Dream, This Job Is Killing Me...), senza mai abbandonare nemmeno per un secondo quel senso di piacevolezza catchy che è uno dei marker della band (e Telephone Numbers Theme, con la sua allegra e scanzonata aria alla Heavenly, vale da solo il biglietto!). 

22 ottobre 2025

Motifs - If This House Was Bigger EP REVIEW

Ne hanno fatta di strada i motifs dalla natia Singapore fino ai mitici studi islandesi Sandlaugin per registrare i quattro pezzi di questo loro ep. D'altra la band asiatica è abituata a farne di strada (nella sua breve ma determinata carriera ha suonato ovunque) e l'idea di andare a costruire le proprie canzoni nel luogo dove l'hanno fatto i Sigur Ros deve essere stata un traino eccezionale.

I motifs fanno parte di quel frizzante vigoroso movimento indie pop di Singapore che da anni spedisce nel mondo band di grandissimo talento, dai Subsonic Eye ai Blush, accomunate da un amore per i paesaggi sonici vasti e le chitarre sfrigolanti. 

Nel caso del gruppo di Elspeth Ong, le chitarre sono davvero i pilastri gotici di un'architettura che spinge sempre verso l'alto (il titolo dell'ep è emblematico in questo senso), realizzando quella che può sembrare una versione shoegaze del dream pop malinconico e corrusco dei Bleach Lab. Nella distesa dimensione di quasi ogni pezzo (Maybe In Another Dream viaggia verso i 7 minuti), i motifs hanno infatti l'ambizione di essere molte cose allo stesso tempo: eterei e rudi, sognanti e disturbanti, senza perdere però mai dalle mani una programmatica barra melodica che conduce ogni episodio in porto con grande facilità. 

Bello, suggestivo, potente. 

18 ottobre 2025

Massage - Coaster ALBUM REVIEW


"Siamo stati etichettati come jangle pop e incasellati come fog pop. Noi ci definiamo ancora college rock. Ma in realtà non rientriamo in nessuna definizione. Siamo un gruppo pop, chiaro e semplice. Non vogliamo ricordare altre band. Vogliamo semplicemente scrivere canzoni che non riuscirete a scrollarvi di dosso". 

Così dice Andrew Romano, anima insieme ad Alex Naidus dei Massage, giusto per chiarire fin da subito come la band basata a Los Angeles  abbia inteso il proprio terzo album come quello volutamente più immediato e "facile" della sua carriera. 

Fin dagli esordi - e nonostante quello che si può pensare in superficie - i Massage non nascono come evoluzione dei Pains of Being Pure At Heart (Naidus ne è stato membro fondatore) ma come progetto jangle pop "tra amici" di Alex ed Andrew: un progetto che porta in profondità le impronte delle loro passioni musicali e che si è allargato a Gabrielle Ferrer (che è la cognata di Romano), Natalie de Almeida (la ragazza di Naidus) e David Rager. 

Dopo un esordio fatto di elettricità e miele che già mostrava la potenzialità enorme del gruppo, il seguito Still Life già segnava la rotta che i Massage stanno coerentemente tenendo tuttora: da una dimensione poco più che lo-fi ad una produzione elegantemente essenziale, da canzoni che avevano ancora spigoli indie ad una apertura pop che vuole essere programmaticamente luminosa. 

Può apparire strano definire Coaster il disco della maturità dei Massage, visto e considerato che si tratta di cinque musicisti che di strada sotto le scarpe ne hanno macinata tanta, ma in qualche modo è davvero così: è pieno di canzoni che per forza risentono delle traversie, belle e brutte, di persone che hanno quarant'anni e che usano la loro musica per ritrovare la freschezza dei vent'anni - una freschezza che è connaturata all'indie pop stesso. 

Se prendete No North Star, la canzone che apre Coaster, vi imbatterete proprio nella sorridente, trascinante, cristallina freschezza di cui parlavamo: le chitarre scampanellano con gioioso dinamismo, le voci maschile e femminile si compenetrano in totale armonia, il ritornello è così catchy che è impossibile non ritrovarsi a canticchiarlo al primo ascolto. 

Daffy Duck, che secondo la band potrebbe essere il loro singolo più commerciale, si apre con quel passo alla New Order a cui ci hanno abituati fin dagli inizi e poi si fa così giocoso nel ritornello da sembrare quasi sfrontato. 

Ma è davvero il mood generale a caratterizzare questo terzo lavoro dei cinque di Los Angeles: un'atmosfera di brillante leggerezza e quieta dolcezza alla Teenage Fanclub che pervade ogni episodio del disco, dal romanticismo quasi commovente di When You Go alla suggestiva immersione quasi dream pop di We're Existential, dalla scintillante rotondità jangly di Whitout Your Love alla macchina del tempo targata Sarah Records di Perrots of Rome, fino al lungo soffice caldo abbraccio della sognante After All

Coaster è in definitiva un album di solida coerenza stilistica e mostra ancora una volta, se ancora ce ne fosse bisogno, la capacità di scrivere e confezionare canzoni pop (perchè questo è l'intento) dei Massage. Ma mostra anche quanto le canzoni stesse possano avere un potere per così dire curativo e catartico, in grado di sollevare chi le suona chi le ascolta dalle noie della contingenza e dare quella sensazione inspiegabile ma tangibilissima che "tutto andrà bene". 

14 ottobre 2025

Dreamcoaster - Imaginary Reflections ALBUM REVIEW


I Dreamcoaster appartengono a quella categoria particolare delle band poco o per nulla conosciute che però sono delle colonne nel genere che suonano. Categoria che, tra parentesi, è una delle mie preferite.

Originari di Brighton, Andrew e Jane Craig, che sono marito e moglie ed hanno una notevole esperienza alle spalle, pubblicano musica come Dreamcoaster fin dal 2018 e nel 2019 hanno anche pubblicato un ottimo album di debutto, intitolato Nothing's Ever Finished, che già definiva in modo inequivocabile la dedizione dei due musicisti inglesi per le origini del dream pop (Lush, Cocteau Twins, Ride...) e al contempo per la tradizione indie pop dal C86 in giù, ibridando i due rami in modo intelligente e a dir poco efficace.

Da allora Andrew e Jane hanno prodotto diversi singoli ed ep, di cui abbiamo parlato volentieri da queste parti, e questo Imaginary Reflections è il loro secondo album. 

Il dna melodico dei Dreamcoaster non è in fondo così diverso da band come i Jetstream Pony: melodie rotonde e di grande piacevolezza che, per l'appunto, affondano le radici nell'epoca d'oro, cantate con una voce femminile di spontanea immediatezza che può ricordare lo stile di Beth Arzy dei Luxembourg Signal. 

Quello che caratterizza il duo di Brighton è la loro innata capacità di essere enormemente catchy e di infilare la loro potente immediatezza in un impianto sonoro che - come canone dream pop vuole - sovrappone le chitarre e le innalza sul fondale in modo equilibratissimo, mettendo insieme dolcezza ed elettricità con spirito di artigianale essenzialità.

Gli otto ampi pezzi di Imaginary Reflections superano in modo inequivocabile quelli degli esordi e riescono davvero ovunque ad essere vigorosi ed orecchiabili, piazzando uno dietro l'altro senza soluzione di continuità una serie di canzoni che ti si incollano addosso già al primo ascolto (Don't Lie To Me) e che dipingono paesaggi sonori a tratti maestosi (Promise You'll Be There). Con in più un piccolo capolavoro super-pop come End Of The Rainbow, che mette i Dreamcoaster assolutamente alla pari dei loro modelli degli anni '80 e '90. 

Senza dubbio alcuno uno dei dischi indispensabili del 2025. 

10 ottobre 2025

Former Champ - I Saw You In Paradise ALBUM REVIEW

Può scattare il colpo di fulmine con una band dopo pochi secondi di canzone? Certo che sì. Difficile, dopo i primi trenta secondi di
Kawasaki, il pezzo che apre l'album di debutto dei Former Champ, non essere trascinati in un gioioso vortice indie pop che ricorda niente meno che gli Heavenly. 

Il gruppo di Glasgow affonda le radici in quella tradizione scozzese che, dai Pastels agli Spearmint, dai Teenage Fanclub ai Vaselines, mette al centro chitarre croccanti, ritmi veloci, attitudine artigianale e spirito catchy.

Non è una sorpresa allora se nei dieci pezzi dell'album ritroviamo ovunque una energia coinvolgente ed entusiastica, per nulla diversa da quella dei punk gentili Martha, Fresh o ME REX. Tanto che non c'è un episodio del disco che non possieda la sua diretta e genuina immediatezza, mettendo insieme un vigore di ruvida essenzialità ed una narrativa morbidezza melodica veicolata perfettamente dalla voce di Claire McKay (che fra l'altro è attiva anche a livello solistico come Martha Ffion). 

Certo, è un album di debutto, ma sono tutti musicisti con altri gruppi ed ampie carriere alle spalle (Former Champ insomma è un po' una super band), e si sente! 

05 ottobre 2025

Far Caspian - Autofiction ALBUM REVIEW

Mi capita ogni tanto di dimenticarmi qualche album senza volerlo: succede magari che finisca tra dieci altri che sto ascoltando e scompare nel mucchio senza lasciare traccia. Poi, fortunatamente, mi torna tra le mani e spesso mi accorgo di essermi perso una gran cosa. 

È il caso di questo (terzo) disco di Far Caspian, che è uscito in piena estate ma - credo sia il destino perché è musica ben poco estiva - per me apre idealmente l'autunno.

Joel Johnston, il polistrumentista e produttore irlandese che sta dietro al nome Far Caspian, è ben noto nell'ambiente indie britannico e con i suoi primi dischi ha riscosso una notevole attenzione critica, anche e soprattutto per la brillante e cristallina densità del suono che sa creare.

Definire la musica di Far Caspian con delle etichette non è semplicissimo in effetti. C'è qualcosa del dream pop di Day Wave (un altro produttore tuttofare), ma più notturno, scabro e malinconico. C'è un'aura indubbiamente cantautorale che sposa uno spirito inquieto e sperimentale e nasconde la voce in un mare sonoro di chitarre e synth. C'è un coté quasi catchy nella deliberata dolcezza degli eterei e liquidi paesaggi che Joel disegna. Ed in definitiva un atteggiamento che mette insieme magicamente una essenzialità assoluta e senza fronzoli ed una cura sonora che sfiora la perfezione maniacale (e non è un caso che Johnston volesse mollare tutto anche a causa di questa sua esigenza formale così difficile da gestire). 

In Autofiction è concentrata tutto lo sforzo produttivo di un artista che vuole da un lato tradurre in pezzi (semplici, ossessivi, squadrati nello schema, immediati) il proprio inquieto mondo emotivo, e dall'altro dare loro una superficie di luccicante bellezza, senza indulgere ad alcun orpello strumentale (le chitarre intrecciate e sovrapposte dominano) né a ritornelli realmente "facili", che infatti non arrivano (volutamente) mai. 

L'intero album allora si gioca in sapiente alternanza fra momenti più atmosferici e apertamente "costruiti" (l'iniziale Ditch ad esempio, in uno stile che può ricordare i Notwist; l'avvolgente The Sound Of Changing Place) ed altri in cui il ritmo che vira verso l'uptempo e una raffinata linearità melodica in crescendo portano nel dna una traccia di jangle pop che potrebbe ricordare Castlebeat (First Day, Laugh, la potentissima Here Is Now, il torrenziale e trascinante binomio An Outstreched Hand / Rain From Here To Kerry, l'affascinante fantasticheria dream pop ad occhi aperti di Autofiction). Con in coda un piccolo capolavoro come l'ampia e quasi mesmerica End, dove il lavoro di sovrapposizione dei layers nella scrittura/produzione di Joel appare in tutta la sua magistrale evidenza.