13 giugno 2025

Subsonic Eye - Singapore Dreaming ALBUM REVIEW


A sentire Singapore Dreaming, quinto album dei sempre ottimi Subsonic Eye, mi viene da pensare che probabilmente noi europei sbagliamo a considerare l'Oriente come un periferia dell'indie. Non c'è luogo al mondo oggi, in un quadrato geografico fra Tokyo, Corea / Sud della Cina, Filippine e Indonesia (e Singapore sta giusto lì al centro, e forse è proprio il centro del mondo), dove l'indie pop è vivo e vivace: volendo, potrei passare le giornate ad ascoltare band di giovani e giovanissimi che vengono da quelle parti e imbracciano l'etica, l'estetica (e le chitarre) del nostro genere preferito. 

La band di Nur Wahidah in particolare - lo diciamo fin dai suoi esordi, visto che la seguiamo da anni - ha fatto proprio delle chitarre il proprio credo: pochi gruppi in giro le usano come loro, jangly, distorte, intrecciate, sempre terribilmente croccanti, al servizio di un'attitudine melodica e insieme obliqua, dinamica e capace di sembrare immediata senza esserlo. 

Pezzi brillanti come Aku Cemas o Why Am I Here - citiamo giusto i due che introducono alla grande l'album - descrivono bene il guitar pop dei Subsonic Eye: raffinatissimo e personale nella costruzione, semplice nelle liriche, propulsivo e arrembante nel costruire attorno alla voce (apparentemente) dolce di Nur un'architettura sonica complessa che tende a riempire davvero ogni angolo, rallenta e accelera senza soluzione di continuità.

Difficile trovare particolari somiglianze nella musica della band di Singapore: c'è un po' di Say Sue Me, un po' di Kindsight, tanto indie dei '90, ascendenze post punk, la tradizione jangly rivissuta in senso power pop e fragori shoegaze...

In verità i Subsonic Eye hanno veramente una personalità fortissima e ormai sono una radicata certezza.


08 giugno 2025

Sloe Noon - All Feelings No Technique EP REVIEW

All Feelings, No Technique è senz'altro uno dei titoli più arguti, ironici (e forse programmatici) in cui mi sia imbattuto in tanti anni. Non che la musica di Anna Olivia Böke sia priva di tecnica - tutt'altro! - ma non c'è dubbio che sia piena di passione. Una passione che l'artista tedesca ha coltivato sia in patria che a Brighton, dove ha studiato e si è mescolata con la nutrita scena indie locale.

Arrivata al terzo ep della sua creatura Sloe Noon, Anna ha messo sempre più a fuoco il suo guitar pop capace di essere denso e poderoso ed al contempo sognante e brioso, una dote questa che caratterizza fortemente la sua musica e la rende, per l'appunto, piena di prepotente emotività.

Solo cinque i pezzi nell'ep, ma tutti molto carichi, molto centrati e prodotti con grandissima cura, per certi versi non lontani da un certo cantautorato femminile che ama le chitarre (Soccer Tommy, Beach Bunny...), ed al contempo prossimi anche al power pop patinato, virato seppia e scenografico dei Blech Lab (Mindsweeper ad esempio) ed al dream pop energico e catartico dei Basement Revolver. 

03 giugno 2025

Bridge Dog - Auto Fiction ALBUM REVIEW


Arrivati ormai alla svolta ideale della metà del 2025, guardando indietro ho fatto un po' fatica a vedere un album che spicchi veramente, pur avendone ascoltati diversi decisamente validi. 

Poi è comparso quasi dal nulla il disco d'esordio dei Bridge Dog e la didascalia "album dell'anno" si è illuminata da sola come se già ai primi secondi del primo pezzo (ne parliamo tra un attimo) si fosse azionato automaticamente un interruttore. 

Ma andiamo con ordine. Dei Bridge Dog abbiamo in realtà già parlato di recente, seppur rapidamente, in occasione dell'uscita di un paio di formidabili singoli nei mesi scorsi, ed in maniera più ampia quando debuttarono con il loro primo ep Going South nel 2021. All'epoca, pur apprezzando l'indubbia verve guitar pop del gruppo australo-coreano, forse non avevamo un chiaro sentore che sarebbero stati la potenziale next big thing dell'indie pop. E invece... 

Grace Ha e Brian Park hanno fondato la band a Sydney come un duo, inseguendo uno stile dream pop che si fregiava di una grazia particolare nella costruzione delle melodie e di fragorosi muri di suono. 

Negli ultimi anni il duo è diventato ufficialmente un quartetto ed ha evidentemente lavorato per mantenere inalterato il nucleo lo-fi del proprio guitar pop rinforzandone da un lato la pulizia melodica e dall'altro la muscolarità energetica. 

L'ìncipit dell'album con la successione Counterweight / Working At It è, come anticipavamo sopra, è già di per sé miracolosa: la sfrigolante dolcezza della prima, con una strofa che sembra un ritornello, e la lunga coda che mescola le distorsioni e la linearità melodica della voce di Grace; il jingle jangle leggero come una nuvola e dinamicamente esuberante della seconda, che se venisse dalla penna di Molly Rankin non ci stupirebbe affatto. 

Se in effetti gli Alvvays possono essere considerati lo zenith dell'indie pop dell'ultimo decennio, i Bridge Dog sembrano senz'altro, almeno nei loro tratti più distintivi, esserne uno dei tanti gruppi "derivativi" - l'incrocio magico e propulsivo di densità elettrica quasi disturbante e purezza melodica perennemente catchy sono la ricetta della band di Toronto quanto di quella di Sydney - ma poi gli australiani sono bravissimi nell'imboccare porte laterali che li portano in stanze adiacenti ma diverse: Standard Issue ha una sua obliqua delicatezza che sta dalle parti dei Say Sue Me; Memory Police (la voce qui è quella di Brian) va efficacemente ad estrarre romantico intimismo da chitarre di marca shoegazer; Memory Man è proprio una lenta immersione dentro onde di fatte di distorsione pura, dove la fragile gentilezza vocale di Grace Ha è una sirena che ci guida negli abissi. 

SVU, altro episodio dall'architettura chiaramente alvvaysiana (anche e soprattutto nell'uso del synth), ci riporta diritto al core style della band, prima di affidarci alle chitarre jangly piacevolmente sghembe di Out The Window, altro momento liricamente narrativo (e super malinconico) del disco non a caso affidato di nuovo alla voce di Brian Park, dove la capacità dei Bridge Dog di sovrapporre spigoli e coperte calde è davvero al massimo. 

Nel finale, l'immediatezza post punk di New View e soprattutto l'emozionante crescendo catartico di Blue Flags, che ha le liriche più belle e toccanti dell'album, intessute di una bruciante malinconia, ma non indulge affatto al sentimentalismo  e centra il suo obiettivo nei tre minuti canonici, chiudendo l'intero album come un cerchio. 

Per i Bridge Dog potremmo fare un discorso non dissimile da quello che abbiamo fatto per i Kindsight (altra band alvvaysiana, per altro) l'anno scorso: erano già bravissimi quando muovevano i primi passi, poi quando hanno messo a punto gli equilibri hanno raggiunto velocemente la quadratura del cerchio ed hanno acquisito quella immediata riconoscibilità stilistica che è la laurea cum laude di ogni gruppo. 

Il guitar pop catchy, arioso, propulsivo e insieme inquieto e sottilmente malinconico della band di Sydney è ormai una certezza e pone i Bridge Dog tra i grandi dell'indie pop di oggi.