31 luglio 2021

SINGOLI DEL MESE DI LUGLIO 2021: Snow Coats, Hater, Skullcrusher, Career Woman, April June, Hovvdy, The Bunbury, Girlhouse

Nella selezione di questo mese: il nuovo pezzo super catchy dei nostri olandesi preferiti Snow Coats; il fascino notturno ed avvolgente dei grandissimi Hater di Caroline Lindahl; una emozionante perla acustica della giovanissima Helen Ballentine, in arte Skullcrusher, che da queste parti seguiamo con enorme attenzione; sempre da Los Angeles, sempre una giovane talentuosa singer songwriter in rampa di lancio, Melody Caudill, ovvero Career Woman; il dream pop senza ombre di April June e quello crepuscolare degli Hovvdy che anticipa l'album in uscita in ottobre; shoegazing meets The Smiths nel singolo degli indonesiani The Bunbury. Infine il nuovo notevolissimo dolceamaro singolo di Lauren Luiz / Girlhouse. 





 


 

28 luglio 2021

Torrey - Something Happy ALBUM REVIEW

Difficile resistere ad un proclama come quello che i Torrey fanno attraverso il titolo del loro album di debutto. Abbiamo tutti bisogno di "qualcosa di allegro", specialmente di questi tempi. 

Che poi, a ben vedere (a ben sentire in verità), non sembra precisamente essere la felicità pura il focus stilistico delle canzoni dei gemelli Ryann e Kelly Gonsalves, a dispetto anche della splendida ed elegantissima copertina floreale del disco. 

Tra tanti album contemporanei di jangle pop - e questo lo è, dichiaratamente - Something Happy non emerge per la leggerezza crepuscolare tipica del genere. Ci sono chitarre tintinnanti e intrecciate, una delicata vocalità femminile e melodie circolari, come ci si attende, ma ogni pezzo del quartetto di San Francisco emerge con un fascino determinato e personale non certo al primo ascolto. 

Episodi come Screens, Recycle, Something New, e soprattutto Cold Snack e 90s Loop (i vertici dell'album) hanno un retrogusto autunnale più raffinato, sognante e sottilmente obliquo (anche nella struttura non sempre lineare delle canzoni) che apertamente catchy, e questa è senz'altro la firma ideale dei Torrey, insieme direi ad una pregevole abilità nel mettere insieme essenzialità e cura formale. 

Per gli appassionati del genere, un album da non perdere.

25 luglio 2021

The Blue Herons - Electric SINGLE REVIEW

Devo confessare che ogni volta che esce un nuovo singolo dei Blue Herons per me è davvero una festa. Non è un segreto che in questo momento sono la mia band preferita, come ho già fatto intendere quando ho parlato di Endless Rain e soprattutto di Go On, le due canzoni che precedono Electric in ordine cronologico.

La collaborazione fra Andy Jossi e Gretchen DeVault (The Francine Odysseys) continua con quello che i due presentano come il loro singolo estivo, anticipazione di due nuove canzoni in uscita entro l'anno e, finalmente, dell'album d'esordio (atteso nel 2022). 

Electric è letteralmente - in modo talmente onesto e diretto da sembrare ingenuo, ma non lo è affatto - un inno dream pop alla vita, all'ottimismo, alla gioia delle piccole cose, alla bellezza catartica della musica, all'amore e alla condivisione. Cioè tutto ciò per cui esiste il pop, in fondo. E tutto ciò in cui The Blue Herons, in ogni loro produzione, mostrano di credere con risoluta fermezza: c'è sempre la luce dopo il buio. 

Non c'è nulla di più luminoso e confortante del florilegio di chitarre di Andy e della limpida dolcezza vocale di Gretchen e, esattamente come nei singoli precedenti, il sodalizio fra i due musicisti ha veramente qualcosa di magico, un'energia libera e avvolgente che pervade ogni singola nota di Electric

22 luglio 2021

The Goon Sax - Mirror II ALBUM REVIEW

Sono passati cinque anni da quando Louis Forster, Riley Jones e James Harrison esordirono, diciottenni o giù di lì, con un album che sembrava gridare con sornione orgoglio che la lezione dei Go-Betweens e dei The Bats non era dimenticata nemmeno dalle nuove generazioni. E ne sono passati da tre dal "difficile secondo album" We're Not Talking, che poco aggiungeva alle cose buone e a quelle più acerbe del debutto.

Il trio di Brisbane è arrivato oggi al terzo disco, ma davvero molte cose sono cambiate. Forse loro stessi, i tre ragazzini talentuosi e sbarazzini di Up To Anything, sono cambiati non poco.

Li lasciamo come indie pop band imparentata con quella tradizione di essenziale e obliqua immediatezza che Louis Forster portava avanti quasi geneticamente (lo sapete, è il figlio di Robert). Li ritroviamo oggi prima di tutto cittadini del mondo, e poi soprattutto talmente cresciuti come musicisti da suddividersi il songwriting e le parti vocali fra tutti e tre, con Forster a rappresentare una sottile linea di continuità con il passato e Jones e Harrison a sperimentare cose diverse (Riley il versante più morbido e teatrale, no wave e catchy insieme; James, con la sua vocalità sghemba, uno psich-folk-surf straniante e piacevole).  In più, un monumento vivente come John Parish nel ruolo di produttore deve avere ulteriormente aperto occhi e orecchie ai ragazzi australiani, sollevandoli di peso dai territori di genere in cui si muovevano per offrire loro una tavolozza molto più ampia dai toni (decisamente scuri) post-punk.

Ecco allora che da un lato le canzoni si allargano e si complicano (prendiamo Bathwater come esempio), con cambi di ritmo e d'umore, gli stili si alternano e si affastellano quasi in voluto disordine, la basilare triade chitarra-basso-batteria resta come fondamenta di architetture stratificate e a tratti imprevedibili dove si succedono sassofoni, synth che trasudano anni '80 da ogni nota, pianoforte, altre chitarre ed armonie vocali, a creare un wall of sound lussureggiante e notturno in praticamente ogni episodio. In alcuni momenti sembra di ascoltare una versione indie pop di Nick Cave (lo stile vocale di Forster è eloquente), senza forse il carisma del grande maestro australiano, ma con una poderosa, in fondo positiva e un po' folle dose di ambizione creativa. 

Personalmente non ho ancora deciso se è una pietra miliare o un buco nell'acqua (l'iniziale formidabile In The Stone chiama pollici in su; i pezzi di Harrison... tutto l'opposto; l'apporto ampio della Jones quasi ovunque fa di nuovo propendere per il sì, tanto che alla fine sembra lei l'unico collante stilistico della band), ma senz'altro non è un disco che può lasciare indifferenti. 

18 luglio 2021

Spud Cannon - Good Kids Make Bad Apples ALBUM REVIEW

Per il terzo album della loro carriera, gli Spud Cannon sono tornati in quel Vassar College di Poughkeepsie, NY, che li ha visti nascere ancora ragazzini. Hanno attaccato i jack dei loro strumenti alle prese del campo di squash del campus (si vede bene in questo video) ed hanno registrato le loro nuove nove canzoni in lunghe sessioni notturne. Sessioni che, a giudicare dal risultato, devono essere state non solo propizie ma anche decisamente divertenti. 

Basta il contagioso e spumeggiante "oooh-oooh-yohoo" che apre e punteggia il singolo You Got It All (NOT) per farsi un'idea di quanto Meg Matthews e compagni siano perfettamente a loro agio nel ruolo della college band (dannatamente fotogenica per altro) che in definitiva piace sia ai ragazzi cool che agli indie-nerd e finisce per essere l'anima della festa (se non vi fa venire voglia di ballare l'iniziale Juno dovreste preoccuparvi...).

Musicalmente, gli Spud Cannon cannibalizzano con intelligenza tutto quello che può servire loro a costruire quei pezzi super frizzanti con una patina di raffinatezza che fanno sin dagli esordi: un po' di pop punk e saltellanti ritmi uptempo, abbondanti chitarre alla Strokes, un pizzico di funk, una spruzzata di no wave newyorkese che non guasta, il tutto condito con una generosa dose di cori e coretti e confezionato con la studiata artigianalità vagamente lo-fi di una garage band. 

Tutto sommato un gruppo che, nonostante l'evidente talento, è ancora sottovalutato.

14 luglio 2021

Massage - Still Life ALBUM REVIEW

Chi segue questo sito da un po' di tempo saprà senz'altro che sono stato un fan accanito e quasi maniacale dei The Pains Of Beeing Pure At Heart, più o meno lungo tutta la loro breve ed accidentata carriera. Del recente album di Kip Berman, che dei Pains era il leader carismatico, non ho volutamente parlato perché non ho francamente capito in che direzione stia andando. Per fortuna c'è anche Alex Naidus - che nella band di Brooklyn si notava magari poco ma non era meno fondamentale - che da un paio d'anni ha fondato insieme ad Andrew Romano i Massage e porta avanti - a suo modo - il filone dei Pains. 
Still Life è il secondo album della band basata a Los Angeles, e se già Oh Boy era una gran cosa, qui andiamo ancora oltre. Già con le prime vigorose pennellate di chitarra post punk di Half A Feeling personalmente sono sobbalzato sulla sedia. Con la successiva Made Of Moods, scintillante di una grazia crepuscolare a atemporale profumata di Sarah Records, ho già capito di essere davanti a un  disco straordinario. 
Disco che prosegue infatti luminosissimo con una carezza alla Belle & Sebastian come Sticks & Stones, il jangly floreale di Until, quello alla R.E.M. di 10 & 2, dove ritroviamo al centro la bella voce di Gabi Ferrer e il carillon Byrdsiano di I'm A Crusader. Giusto per descrivere solo la prima metà di un album che nella seconda continua davvero a brillare di luce propria, inseguendo (e raggiungendo) un'idea di "perfect indie pop song" di prodigiosa leggerezza, dove le chitarre scampanellano inesorabili e le voci si intrecciano armoniose: citiamo tra i vari episodi le raffinate tracce NewOrderiane di In Gray & Blue, la sbarazzina freschezza alla Heavenly di Michael Is My Girlfriend, la totale piacevolezza appena uptempo di Anna. 
Rispetto al primo lavoro, i Massage attenuano quindi in modo deciso l'elettricità che era il carburante sonoro dei Pains e che affiorava ancora in Oh Boy, lavorando su un tessuto sonoro e melodico di coloratissima delicatezza e regalandoci in definitiva l'album jangle pop dell'anno.
Imperdibile. 

10 luglio 2021

No Kill - Gold Chorus ALBUM REVIEW

Originaria del Maine ma basata da molti anni a Brooklyn, Jamie Cogar deve essere davvero cresciuta a pane e Jesus & Mary Chain se, arrivata all'esordio discografico con il moniker No Kill, ha riempito ogni sua canzone delle chitarre, delle atmosfere, delle melodie ipnotiche della mitica band scozzese. 

Aperto da un pezzo di diafana quiete come Always e chiuso dal suo ideale lato B A Place, Gold Chorus decolla subito con un terzetto di episodi da applausi, Swooning, Tremolo e Eddie Vedder (si può non amare un'artista che dedica un pezzo a Eddie), dove miele ed elettricità statica si mescolano alla perfezione con una scabra e calcolata eleganza. 

L'album continua valorizzando da una parte la pregevole vocalità di Jamie e dall'altra la costruzione di un dream pop morbido, raffinato e tutto sommato immediato, incentrato su una serie di ritornelli incalzanti di presa diretta (il "we both gonna die" di Better ad esempio), di misurate dilatazioni e chiaroscuri che sembrano rimandare, seppure da lontano, ai girl groups degli anni '60 (un po' come Raveonettes, Best Coast, Dum Dum Girls et similia). 

In definitiva un debutto di valore, non tutto ugualmente convincente, ma con dei numeri di sicura forza. 

06 luglio 2021

Mt.Misery - Once Home, No Longer ALBUM REVIEW

E' passato più da un anno quando i Mt.Misery hanno esordito con quella perla di nostalgica delicatezza pop che è The Dreaming Days Are Over. L'attesa del primo album è finalmente soddisfatta con questo Once Home No Longer, che mette insieme dieci pezzi di scintillante delicatezza twee.

Andrew Smith, che nella band è cantante e autore, possiede un tocco da songwriter d'altri tempi: stilisticamente essenziale e sospeso magicamente fra romanticismo ed amabile understatement. Le canzoni di Mt.Misery in effetti a me ricordano da vicino l'approccio di uno Stuart Murdoch o, per andare veramente lontano nel tempo, di un Harvey Williams ai tempi degli Another Sunny Day o del trio McGinley, Blake, McDonalds dei Teenage Fanclub nei loro numeri meno elettrici (per altro tutti musicisti che con Smith hanno in comune la provenienza dalla provincia: la misconosciuta Hartlepool dei Mt.Misery, Scozia e Cornovaglia per gli altri citati). 

Tutto è morbido e curatissimo nei dieci episodi dell'album: le melodie piacevolmente avvolgenti, le chitarre che scampanellano quiete, l'aria acustica e le armonie vocali che profumano di un soft rock di tanti tanti anni fa, gli arrangiamenti che con poco fanno sempre tantissimo. 

02 luglio 2021

Hurry - Fake Ideas ALBUM REVIEW

Da almeno un decennio Matt Scottoline porta avanti con i suoi Hurry un'idea di indie che punta a mettere insieme Teenage Fanclub e Weezer, puntando con immutato entusiasmo ad un guitar pop spigliato e ipermelodico che a tratti si concede qualche stilema emo-punk. 

Fake Ideas, che è il quarto album della band di Philadelphia, continua con grande coerenza ed onestà lo stile dei dischi precedenti, mettendo in fila una serie di pezzi di mirabile e sorridente leggerezza, a partire da una It's Dangerous e una A Fake Idea che non sfigurerebbero dentro un capolavoro come Songs From Northern Britain. Slogging Through The Summer e How To Cope poi sono davvero dei piccoli inni che ti si stampano in testa dopo un solo ascolto e non ti lasciano più.

Può darsi che l'effetto collaterale della musica degli Hurry sia una bruciante nostalgia per estati di venticinque anni fa, ma è un rischio che si può correre volentieri davanti a un guitar driven pop di tale freschezza.