30 aprile 2017

Lunch Ladies - Down On Sunset Strip [ALBUM Review]

C'è ovviamente un riferimento californiano nell'intitolare un album Down On Sunset Strip, e non è certo un caso se il liquido e crepuscolare jingle jangle di chitarra dell'iniziale Sunshine allude a tutto un universo musicale che sulle rive del Pacifico ha le sue radici stilistiche. Però già a metà dello stesso pezzo i Lunch Ladies, che in California ci sono stati forse al massimo come turisti (sono originari del New Jersey), virano verso qualcosa di decisamente diverso, accelerando i battiti e sporcando il suono verso un dream pop energico che, in definitiva, è la vera misura della band. 
You're Not There e Love Is Overrated, i due episodi che seguono, mettono perfettamente a fuoco l'indole morbidamente melodica del quartetto e, diciamolo subito, sono davvero due gioielli che da soli valgono l'album. La voce sorniona di Cynthia Rittenbach, le trame delle chitarre che al momento giusto sfrigolano di elettricità, l'ottimo dosaggio di synth e ritmica, una sensibile cura dei suoni che non trascura i dettagli: tutto concorre ad un'efficace e intelligente immediatezza che ritroviamo anche nelle canzoni successive, spartite equamente con la voce di Matt Whitley (il frizzante uptempo di Lazy, il vigoroso cambio di ritmo di Bumming Too Much, la pura leggerezza indie di Pick Yourself Up) e che possono ricordare lo stile degli Alvvays, dei Best Coast o dei Kid Wave. 
Da non perdere. 


22 aprile 2017

Skittle Alley - End Of A Story [ALBUM Review]

Non c'è dubbio che la barcellonese Discos De Kirlian sia oggi una delle più attive e intelligenti label nel campo dell'indie pop. Ne abbiamo già parlato e lo rifaremo a breve a proposito dell'album di Ultim Cavall. 
Nell'ampio roster dell'etichetta spagnola c'è anche una band francese, Skittle Alley, che ha già qualche pubblicazione (mini ed ep) risalente agli anni passati. 
Fanou, mente e leader del gruppo, è uno di quei musicisti che l'indie pop ce l'hanno davvero nell'anima e che sono devoti in maniera totale al suono e a tutto l'immaginario della Sarah Records. 
Le nove canzoni di End Of A Story, il nuovo album in uscita, possiedono in effetti nel proprio dna la stessa timida leggerezza che è stata dei Brighter o dei Field Mice. Tutto, dalle iresistibilmente uptempo When She Dances e Just A Click in giù, profuma di una spontaneità lo-fi che non è semplice omaggio ai modelli, ma fresca e pura immediatezza espressiva. Le chitarre disegnano trame jangly che sono dense e ariose al tempo stesso. I synth delineano una quinta colorata attorno alle linee melodiche. Le ritmiche imbastiscono un infallibile quattro quarti. La voce resta sempre saggiamente un passo indietro, senza riunciare a incidere ritornelli miracolosamente catchy. Nella sua sorridente umiltà, un piccolo gioiello di perfezione twee pop. 


 

17 aprile 2017

Hater - You Tried [ALBUM Review]

Dirò subito la verità: non c'è nulla che mi renda più felice di trovare una nuova band che suoni quel guitar pop spigliato e moderatamene uptempo che ti fa tenere il tempo con i piedi e ti cambia in positivo l'umore. Ecco perchè oggi sono particolarmente contento di parlare degli Hater, quartetto di Malmö che con You Tried piazza uno degli esordi sinora più interessanti dell'anno. 
Non ci sono soluzioni particolarmente nuove nell'indie pop della band - che potremmo paragonare a quello degli Alvvays, dei Beverly o, per restare in Svezia, dei Westkust e dei Sun Days - ma questo non è certo un difetto. Come spesso accade con i gruppi scandinavi, quello che colpisce è la capacità di trovare equilibrio ed immediatezza e di spalmarli con nonchalance su tutti i pezzi, con una efficace commistione di melodia ed energia, incentrata sulle chitarre brillanti e sulla voce leggermente ruvida (e in questo senso perfetta) di Caroline Landahl
L'infilata iniziale di canzoni - Carpet, Mental Heaven, Common Way - già di per sè è da applausi, ma il tiro continua imperterrito per tutto il resto dell'album, centrando un bersaglio dietro l'altro senza mai rallentare i ritmi se non nella più oscura, inquieta e "FearOfMeniana" Always To Get By e nella morbida e sognante You Tried
Grandissimo album, da non perdere!


 

12 aprile 2017

French For Rabbits - The Weight Of Melted Snow [ALBUM Review]

Nel 2014 Spirits, l'album di debutto dei neozelandesi French For Rabbits, è stato uno dei miei dischi dell'anno. Brooke Singer e John Fitzgerald fanno musica insieme da parecchio, hanno avuta una impegnativa relazione sentimentale che si è interrotta, ma hanno deciso ugualmente di lasciare in vita la band, usando anzi ciò che è accaduto nelle loro vite come intimistica fonte d'ispirazione. 
Le canzoni di The Weight Of Melted Snow, restando nell'alveo ovattato del dream pop levigatissimo e nutrito di folk che già era il marchio di fabbrica del gruppo di Wellington, possiedono rispetto al passato una forza emotiva maggiore, che va di pari passo ad una serena malinconia che tutto pervade.
Un po' Cocteau Twins, un po'  Fear Of Men, un po' Angus & Julia Stone, i French For Rabbits costruiscono i loro pezzi attorno alla voce delicata della Singer, andando via via alla ricerca di una raffinatezza sonora che usa al momento opportuno i jingle jangle di chitarra, il pianoforte, gli archi, lo strum di un'acustica, qualche tocco di elettronica calda e soprattutto un grande lavoro di stratificazione vocale, di echi e di rimandi, non disdegnando oniriche dilatazioni di cinque minuti e oltre. Dream pop, insomma, nel pieno significato del termine, che in episodi come One And Only e Dead Wood sfiora davvero la perfezione nel trovare la misura di un romanticismo luminoso e decadente al tempo stesso . 


 

05 aprile 2017

Jay Som - Everybody Works [ALBUM Review]

C'era da tempo una certa attesa nei confronti del vero album di debutto di Melina Duterte, in arte Jay Som. La raccolta di singoli, canzoni sparse, demo uscita l'anno scorso con il titolo Turn Into si era già fatta debitamente notare per una fortunata concentrazione di buone idee e per un songwriting intelligente e originale.
Everybody Works, il debutto di cui parlavamo, è oggi una solida realtà. E' il disco di cui tutta la stampa indie americana sta parlando e che miete recensioni entusiastiche una dopo l'altra, senza soluzione di continuità (un po' come accadde due anni fa per Waxahatchee). 
Il che non può che farci doppiamente piacere, considerando che la Duterte fin dagli inizi della sua carriera si muove con forte personalità nei meandri di un genere, chiamiamolo dream pop, che è uno dei fari di questo blog. Dream pop, intendiamoci bene, che però ha poco a che fare con l'energia melodica e muscolare di band come i Pains Of Beeinf Pure At Heart, e che si colloca invece su un lato più sperimentale, obliquo e, in una parola, eclettico.
Non diversamente da quanto di buono ha fatto l'anno passato Japanese Breakfast, la multistrumentista californiana lavora su un mix fortemente emozionale di essenzialità intimistica e raffinatezza sonora, ottenuta attraverso un ammirevole equilibrio di chitarre, synth e voce, dove riverberi e leggerezza, graffi e carezze convivono nella struttura di ogni singolo pezzo. Non c'è in effetti episodio dell'album che non possieda una sua memorabile immediatezza, da The Bus Song in giù, ma al contempo resta sempre in controluce una meditabonda e atmosferica inquietudine, la stessa che invischia e rende affascinante il songwriting di artiste come Gemma Hayes o Sharon Van Etten.
Non so in definitiva se si tratti davvero di capolavoro, ma è senza dubbio uno degli album più interessanti usciti quest'anno. Da non perdere.